Let's survive!

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    » Vincent Black

    11/Gennaio/1823.
    Faceva un freddo assolutamente odioso quella sera, ed ovviamente il calare della notte non sarebbe servito a risolvere il problema. Il cielo si era oscurato nelle prime ore del pomeriggio, sebbene le giornate avessero già cominciato ad allungarsi da qualche settimana, e la tiepida temperatura che aveva reso quella giornata piuttosto piacevole era stata surclassata da un vento freddo proveniente da nord, che sferzava la pelle e sollevava i cappotti di quelli, in realtà pochi, che avevano comunque voglia o dovere di uscire di casa ed affrontare la temperatura invernale.
    Vincent aveva sempre odiato il freddo; al contrario, amava l'estate, il caldo, l'unica cosa che gli piaceva dell'inverno erano i vestiti pesanti, le lunghissime sciarpe e i guanti, con i quali si sentiva sempre a suo agio. Li indossava con disinvoltura anche quella sera, accompagnati da un cappotto che gli raggiungeva le cosce, stretto in vita da una cintura e il più abbottonato possibile, nella disperata ricerca di un po' di calore, che, ovviamente, sembrava quanto ti più lontano e irraggiungibile.
    Erano le ventitré passate, e ancora nessun segnale, nessuno sviluppo, niente di niente. Vincent era un po' nervoso, solo un po'. Dopotutto era stato contattato all'improvviso da un cliente che gli aveva chiesto di "sistemare i conti" con un Demone, il quale, secondo le informazioni fornitegli, predava nel territorio dell'Elizabeth's Clock: insomma, un Demone non molto furbo, considerando che quel luogo pullulava di cacciatori. O forse era un Demone molto sicuro di sé, che sapeva di potersi permettere una tale libertà; non gli avevano fornito nessuna informazione in particolare, solo che lo avrebbe riconosciuto dagli occhi rossi e gli abiti eleganti. Non che con tutto quel buio fosse facile vedere di che colore avessero gli occhi i passanti, a meno che non gli si parassero davanti urlando "GUARDAMI NEGLI OCCHI, BEL BRUNO!"
    Vincent sospirò "Perché mi vengono in mente scene così agghiaccianti...?"
    Era seduto piuttosto scompostamente su una panchina, una delle tante della piazza davanti alla torre dell'orologio; gambe accavallate, un braccio che reggeva il suo ormai storico quaderno con gli appunti sul caso, un gomito distrattamente appoggiato alla spalliera. Ad illuminare la pagina e rendergli più facile la lettura era la luce giallastra di un lampione vicino.
    Nonostante tutto poteva apparire non sospetto, ma solo un comune ragazzo con la testa tra le nuvole, oppure un artista di strada o un povero pazzo in cerca di ispirazione, o forse solo un poveraccio che aspetta un aiuto del cielo. In pochi potevano immaginare che nonostante la giovane età egli fosse un cacciatore di Demoni, né guardandolo lo si sarebbe subito detto, considerando che sembrava del tutto disarmato.
    Purtroppo il budget era quello che era, quindi a parte lame ed altre cose che, diciamocelo chiaramente, non avrebbero fatto granché a un Demone, per adesso si sarebbe dovuto accontentare di quel che trovava.
    Da sotto il cappello che indossava, lanciò un'occhiata obliqua ad un locale ancora aperto e dalle insegne illuminate di arancione; era il locale dove lavorava quella ragazza, Lydia, se ben ricordava. Gli aveva detto di aver trovato per pura fortuna un posto di lavoro, e non c'era da stupirsi che lo avesse trovato proprio presso l'Elizabeth's Clock, uno dei luoghi più pericolosi di Ghetin Est: nessuno voleva lavorare in un posto così frequentato da personaggi pericolosi.
    Chissà, forse a breve avrebbe finito il turno. Non gli sarebbe dispiaciuta un po' di compagnia in quella noiosa e gelida nottata. Sollevò lo sguardo sul quadrante del grande orologio, che in quel momento segnava le ventitré e venti; e ancora niente. Niente di niente.
     
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  2. Stocking
     
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    » Lydia Gray

    11/Gennaio/1823.
    Lydia aveva sempre preferito le stagioni calde, quelle che non ti fanno rabbrividire ad ogni passo, quelle che quando ti sciogli una sciarpa non pare che i venti ne approfittino. La sua divisa, poi, le regalava ogni volta brividi di freddo. Quella sera si gelava. più del solito, in maniera più tagliente.
    Quasi le dispiaceva uscire dal locale, lasciando che il freddo l'avvolgesse. Le era stato detto di chiudere lei il locale, e di assicurasi che non ci fosse nessuno, né fuori né dentro; era senz'altro il luogo meno indicato per una ragazza come lei, ma sembrava che a Lydia non interessasse granché.
    Il suo capo le aveva affidato una copia delle chiavi, in via del tutto eccezionale in realtà - forse pensava che una simile fiducia la facesse sentire più a suo agio. Non era da molto che lavorava lì.
    Appena fuori, si era guardata intorno, e aveva tirato un sospiro di sollievo.
    Aveva già avuto la sua dose di avventure soprannaturali, e non moriva dalla voglia di averne altra. Si strinse nel lungo e pesante giaccone viola scuro, alla disperata ricerca di calore.
    "Che... strana sera" pensava, mentre si portava le mani bianche alle labbra per riscaldarle con il proprio respiro. Aveva un'inquietante sensazione di pericolo, una sensazione che si era concentrata nel suo stomaco dove lei avvertiva dei fastidiosi formicolii.
    Mosse piano, in un movimento veloce, le labbra che formarono una nuvola di vapore nell'aria. Quindi si ordinò di girare i tacchi e dirigersi a casa.
    O meglio, a casa di Vincent.
    "Chissà cosa starà facendo" si scoprì a pensare. Inforcò le mani ormai congelate nelle tasche del giaccone, sospirando. Visto che lui l'aveva salvata da un Demone, - non potrà mai, neanche sotto ordine, dimenticare - il minimo era che non si facesse uccidere da un altro di loro.
    Fosse stato un umano, avrebbe anche potuto cavarsela; ricordava ancora com'era avere le mani sporche di sangue, e il pugnale nascosto nella giarrettiera l'aiutava a tenere a mente che lei non era del tutto comune.
    Sbuffò, e fece per iniziare a camminare... quando si fermò. Dieci metri - forse, non ne era sicura - lontana da lei, c'era una testa mora a lei molto familiare. Sorrise raggiante, mormorando un «Vincent!». Il suo sorriso si modificò quasi all'istante.
    Lei amava gli scherzi. E prendere in giro. E far spaventare la gente.
    Si alzò sulle punte, scorgendo tra le sue mani un quaderno. Si ricordava vagamente di quel quaderno. Non ci fece troppo caso, iniziando a camminare verso la panchina dove Vincent era seduto, la schiena leggermente ricurva. Arrivata alle sue spalle, sbirciò dall'alto ciò che stava leggendo.
    "Appunti?"
    Ma cosa ci faceva lì? Resistette alla tentazione di scuotere la testa. Alzò gli angoli della bocca in un sorriso sadico e appoggiò le mani sulle spalle del ragazzo, con una lieve pressione.
    «Cosa ci fai qui?»

    Edited by Stocking - 16/1/2013, 15:49
     
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    Un sospiro di rassegnazione fuggì dalle labbra del ragazzo, che ormai si era arreso all'evidenza dei fatti: quella sarebbe stata una lunga nottata. Innanzitutto c'era la possibilità che il Demone avesse avuto una soffiata, cosa che non lo avrebbe stupito parecchio considerando l'assurda mole di informatori che bazzicava per le strade di Ghetin Est: manigoldi bastardi pronti a vendersi al miglior offerente, senza far distinzione tra umani e Demoni. In secondo luogo, era altrettanto probabile che chi stava aspettando non si presentasse affatto, che avesse altri programmi per quella notte, che avesse persino cambiato terreno di caccia - scelta che si sarebbe rivelata piuttosto intelligente in realtà.
    Inoltre, non poteva di certo presentarsi ogni sera lì, seduto su quella panchina: pure un bambino avrebbe capito che stava complottando qualcosa. Dunque non aveva altra scelta che trovare un luogo al chiuso o comunque riparato, dal quale osservare la piazza se vi fosse stato bisogno di tornare una seconda o una terza volta. Gran parte dei Demoni non poteva resistere senza cacciare per diversi giorni, e se quello era davvero il luogo da lui prediletto era solo questione di tempo prima che si fosse deciso a sbucar fuori, e magari farsi ammazzare.
    La sua agenda era piena zeppa di descrizioni di vari Demoni dagli occhi rossi, era un'informazione così assurdamente vaga che avrebbe potuto rivelarsi qualsiasi cosa!
    "Ricapitoliamo..." rimuginava tra sé e sé sfogliando velocemente le pagine, sulle quali si soffermava solo di tanto in tanto "Sappiamo che ha necessariamente forma umana, occhi scarlatti, veste in modo elegante... che sia un vampiro?"
    Non gli era mai capitato di incontrare un vampiro, né sapeva se esistevano veramente, ma era pur sempre un punto di partenza, nonché unica razza in cui rientrassero tutti gli indizi. Era talmente tanto preso da quel ragionare, che si rese conto di non essere solo quando il lampione accanto a lui proiettò per terra un'ombra che incombeva su di lui.
    Gravissimo errore di distrazione.
    "Troppo tardi!" pensò con un colpo al cuore, vedendosi già morto. In preda all'agitazione, ma cercando di essere discreto, abbassò la mano destra fino alla tasca della giacca, dalla quale estrasse un coltellaccio da cucina che rivoltò contro l'aggressore, voltandosi nel momento in cui un paio di mani gelide si appoggiarono sulle sue spalle.
    "Che cosa ci fai qui?" ebbe appena il tempo di sentire, prima di frenare il colpo all'improvviso. Rimase con una mano a mezz'aria, puntata contro la povera - povera? Malefica! - Lydia, sbucata dal nulla. Le lanciò un'occhiataccia carica di rimprovero «Insomma, è questo modo di apparire dal nulla? Avrei potuto ferirti!»
    Ma la sua predica era davvero poco convincente, tanto che si abbandonò con le spalle contro la panchina e buttò fuori in un unico sospiro tutta l'ansia che aveva accumulato, mentre con la mano destra tornava a posare l'utensile da cucina che pretendeva di usare come arma rudimentale. Con la coda dell'occhio, controllò se le mani di Lydia erano ancora poggiate sulle sue spalle, per poi alzare lo sguardo verso di lei.
    «Sto lavorando. O meglio, provo a lavorare. Ma l'unica entità sovrannaturale svelatasi è una ragazza con un pessimo senso dell'umorismo.»
     
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  4. Stocking
     
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    Un po' doveva aspettarselo - dopotutto, si parlava di Vincent Black. E forse, considerando ciò che disse dopo, quel coltello era più che giustificato.
    Non riuscì a trattenersi, comunque, dal ridere. Primo, l'espressione allarmata di Vincent, quando lui si era voltato. Secondo, quella leggermente più sollevata e, insieme, di rimprovero.
    Scivolò al posto di fianco al ragazzo, ridacchiando. «Lavoro. Capisco. Beh, spiacente, ma dovrai sopportare questo mio "pessimo senso dell'umorismo" per mooooolto tempo.»
    Se metteva a paragone il suo lavoro da cameriera con quello di cacciatore, ultra pericoloso, si sentiva vagamente fortunata.
    Assottigliò gli occhi, ghignando - doveva ammetterlo.
    La compagnia di Vincent era un toccasana!
    Insomma, le sue espressioni la facevano sempre morir dal ridere, ed inoltre, era un bel ragazzo. No, bel ragazzo era riduttivo.
    Era proprio affascinante.
    In realtà non sapeva bene come definire Vincent. Quel ragazzo dagli occhi dorati, come lei.
    Alzò lo sguardo su di lui.
    «Sentiamo,» riprese. «chi o cosa è il tuo bersaglio sta' volta, per così dire?»
    Lydia si morse il labbro inferiore. Era quasi certa che Vincent l'avrebbe spedita all'istante a casa, a mettersi al sicuro.
    E lei, avrebbe anche potuto fare la brava bambina - per una volta - e fare esattamente così.
    Eppure, i formicolii che sentiva allo stomaco, non erano d'accordo. Si lasciò sfuggire un breve sospiro esasperato.
    Sentì il freddo metallico del pugnale sulla coscia e rabbrividì silenziosamente.

    Edited by Stocking - 2/2/2013, 17:44
     
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    "Non c'è proprio niente da ridere..." avrebbe voluto farle notare Vincent, ma dopotutto era piacevole vedere Lydia così spensierata e libera, dunque decise di simulare un'espressione corrucciata, alzando un sopracciglio e alzando gli occhi al cielo nero, sicuro che così facendo avrebbe ottenuto l'effetto di farla divertire di più.
    Non poteva certo lasciarsi andare, quella era comunque una situazione piuttosto pesante - ed era pur sempre a lavoro -, ma rilassarsi un attimo era davvero necessario dopo lo spavento che si era preso, per riuscire per lo meno a recuperare la lucidità necessaria a stare in guardia.
    Quando la ragazza fece per sederglisi accanto, Vincent spostò frettolosamente la sua borsa, in modo da liberarle spazio, e si sedette in modo più composto per evitare di far la figura dello svogliato, sebbene Lydia sapesse già da se quanto lui era disordinato, ai livelli da trovare libri di appunti nell'apparecchio per riscaldare il cibo. Accavallò di nuovo le gambe e spostò il peso del corpo sul braccio sinistro che teneva appoggiato al bracciolo della panchina, mentre con la mano destra chiudeva il quaderno che aveva utilizzato fino a quel momento.
    «Molto tempo, huh?» soppesò a voce bassa, chiedendosi quando effettivamente Lydia si sarebbe decisa a rivelargli chi era, da dove veniva, e come diavolo era finita a Londra nel momento sbagliato. Tuttavia, la sua compagnia era piacevole e l'avrebbe volentieri ospitata per quanto fosse stato necessario, sebbene questo significasse smettere di girare in accappatoio dopo la doccia o dover rifare il letto prima di uscire di casa, o peggio ancora, dover bussare prima di entrare in bagno.
    Alla sua domanda scrollò le spalle col suo solito fare strafottente, poiché quell'attesa lo stava davvero tediando.
    «Questa è una domanda interessante. Ho informazioni molto limitate, ma non sembrano promettere bene.» con la coda dell'occhio le lanciò uno sguardo penetrante ed intenso «In tutta sincerità, preferirei saperti a casa. D'altro canto, la situazione potrebbe rivelarsi pericolosa da un momento all'altro, e ho il dovere di proteggere i civili. Ergo... sono incline a spostarci in un luogo più, "affidabile". La prego di seguirmi, milady.»
    Detto ciò, dopo aver dato un attento sguardo intorno ed essersi assicurato della non presenza di nessuno oltre loro due, si mise in piedi, il rumore dei suoi passi ruppe il silenzio della strada; si rassettò velocemente, infilando il quaderno dentro la borsa e la borsa a tracolla, quindi, con un galante - e molto immotivato! - inchino, porse la mano a Lydia.
     
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  6. Stocking
     
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    Di fronte alla nuova espressione di Vincent, Lydia si sentì in dovere di premere la mano sinistra sulla bocca, per non ridere a crepapelle.
    "In tutta sincerità, preferirei saperti a casa."
    Lydia sorrise soddisfatta, perché in tutta sincerità, l'idea di indovinare ciò che il ragazzo le avrebbe detto le piaceva un bel po'. Lo guardò contenta per un attimo, facendosi sfuggire un risolino quando lui disse che aveva il dovere di proteggere i civili. Aveva l'impressione che Vincent non fosse proprio il genere di gentiluomo che salva qualsiasi essere umano - volendo, anche non umano - in pericolo.
    Allora, per lei, forse aveva fatto semplicemente un eccezione? E se anche fosse, perché?
    Scrollò la testa.
    C'erano cose che lei non gli aveva ancora detto, quindi Vincent aveva tutto il diritto di non rivelarle tutto.
    Seguì con lo sguardo la figura del ragazzo, mentre si alzava e recuperava la sua roba. Poi le porse la mano. Lydia guardò prima Vincent, dopo la sua mano destra. Quindi rise allegra. prendendola con delicatezza per alzarsi in piedi.
    Dall'ultima esperienza, se possibile, evitava i tacchi troppo alti, quindi fu davvero semplice alzarsi senza barcollare per neanche un secondo.
    Gli schioccò un'occhiata divertita. «Che gentile.»
    Si passò la lingua tra le labbra, inumidendole.
    «Sinceramente, mi riesce un po' difficile credere che tu conosca lunghi affidabili, considerando il tuo lavoro. Ma pensandoci bene, invece, è ovvio che tu ne conosca» mormorò, chinando lo sguardo sulla sua mano, che fece scivolare dentro la tasca del giaccone.
     
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    A dirla tutta, il luogo in cui la stava portando non era esattamente il più sicuro di tutti né il più agevole; ma dovevano pur mettersi a riparo in qualche modo, e l'unico posto che offriva una minima protezione in quel quartiere malfamato l'avevano proprio davanti agli occhi. A Lydia non sarebbe servito molto per notare che si stavano dirigendo verso la torre dell'orologio, proprio il centro della zona di caccia del demone. Vincent, naturalmente, teneva gli occhi aperti e ad ogni passo lanciava penetranti occhiate attraverso le tenebre, guardingo.
    La mano tiepida della ragazza la teneva stretta, proprio come quella volta in treno in cui avevano creduto di essere pronti a morire: naturalmente la presa era priva di tutta la paura e la disperazione che aveva provato allora, ma la paura che potessero strapparla via da un momento all'altro permaneva. Erano in un posto pericoloso in un orario pericoloso, e la cosa peggiore era che si era affezionato a Lydia, dunque poteva considerarla una sua debolezza - aveva l'impressione che se la ragazza lo avesse saputo sarebbe stata offesa per essere marchiata come debolezza come se fosse stata una semplice donnina inglese, ma forse una piccola parte di lei l'avrebbe presa con una maliziosa risatina.
    Raggiunsero finalmente l'edificio, ma vi girarono intorno per entrare dalla porta sul retro: quella sera era stata appositamente lasciata aperta, nell'eventualità che al cacciatore servisse un rifugio. Mai niente era risultato più propizio.
    Aprì lentamente la porta, che si ritrasse nel buio con uno scricchiolio fastidioso e lungo, e dopo l'ennesimo controllo di ogni angolo del luogo il ragazzo finalmente vi mise piede dentro, chiudendo infine la porta alle loro spalle. L'interno era grande, di forma quadrangolare, costruito in pietra e illuminato - quasi romanticamente potremmo dire - dalla luce della luna che penetrava attraverso le vetrate sulla facciata; una scala a chiocciola conduceva ai piani superiori, fino all'ultimo, molti e molti metri sopra di loro, dove erano visibili i grandissimi ingranaggi che muovevano il meccanismo.
    Vincent amava quel posto, aveva avuto modo di lavorarci un paio di volte e lo trovava molto particolare.
    «Qui dentro dovremmo essere al sicuro.» si concesse un sorriso visibilmente rilassato, prima di abbandonare per terra la sua borsa e sollevare lo sguardo a Lydia «Che ne pensi? Conosco posti bellissimi, vero?»
     
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  8. Stocking
     
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    In realtà, era sorpresa che Vincent non le avesse lasciato subito la mano - ma forse lui aveva solo... freddo?
    Non ci stette a pensare per molto, lo riteneva fin troppo faticoso, col ghiaccio che penetrava nelle ossa dell'ex ladra - e se doveva, assassina.
    Però, visto il breve ragionamento di prima, le venne anche in mente la prima volta che aveva toccato le dita di quel ragazzo, in una situazione piuttosto diversa; con l'unica somiglianza che, anche quella volta, c'era un pericolo in agguato.
    Era nell'aria, lo sentiva, mentre camminavano e facevano un giro diverso da quello che si aspettava.
    E, in quanto non al sicuro, Vincent voleva portarla altrove - beh, era il suo dovere, no? Quindi...
    Una volta giunti all'interno della torre, lei non ascoltò per davvero la domanda retorica del ragazzo, era terribilmente rapita da quel luogo lambito dai raggi lunari.
    Era semplicemente affascinante. Era come se in quel posto si riunisse un misto di sentimenti, magari, legati persino a Vincent; a quegli occhi dorati che non dimostravano apertamente le proprie sensazioni, a costo di rimetterci.
    Tenne lo sguardo alto, a cercare di catturare ogni particolare; le sfuggì persino un verso di sorpresa quando le iridi oro notarono gli ingranaggi... di dimensioni piuttosto notevoli, fra l'altro - ma era ovvio, per muovere un orologio talmente grande!.
    Poi, con un piccolo sussulto, annuì ripetutamente. «Direi. O almeno... questo lo è, anche troppo... ».
    Abbassò lentamente lo sguardo per posarlo su di lui, notando quindi il sorriso rilassato e il suo sguardo da felino. «Potresti aver appena conquistato... », prima di continuare la frase, si passò nuovamente la lingua fra le labbra gelate. «... la mia stima~».
     
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    E dunque era riuscito nell'impresa di stupirla: sembrava essere la cosa che gli riusciva meglio. Treni fantasma, strane gite in dimensioni parallele, torri dagli ingranaggi alti tre volte un uomo adulto... e il tutto costava solo fargli un po' di compagnia; le avrebbe mostrato altri luoghi fuori da ogni immaginazione se ne avesse avuto occasione, poiché quella era una delle poche cosa belle del suo lavoro e della sua vita, peccato che le persone con cui poteva condividerle fossero davvero poche. Lydia era tra queste, ed era anche un'ottima compagna d'avventure.
    ... Che cosa diavolo stava pensando? Forse era l'orario a giocargli brutti scherzi. O l'adrenalina, sì doveva essere quella...
    «Credevo di aver già conquistato la tua stima quella volta sul treno.» mugugnò con falsa delusione, infilando le mani in tasca per combattere il freddo che lì, essendo la struttura in pietra, era più intenso, ma per lo meno erano al riparo dal vento gelido e forse anche dal demone che il cacciatore avrebbe dovuto combattere. A quel punto sollevò lo sguardo verso gli ingranaggi in movimento: per un attimo aveva avuto la paura che il mostro potesse annidarsi proprio lì, ma non avrebbe avuto senso dato che essi erano in continuo movimento, ne sarebbe rimasto schiacciato. Inoltre non c'erano posti in cui nascondersi, per questo aveva controllato con lo sguardo prima di entrare.
    Infine si mosse, rimettendo su quel sorriso di poco prima, stavolta un po' ingentilito, probabilmente perché si sentiva al sicuro e voleva concedersi un attimo di tregua prima di tornare a combattere con il mondo. Raggiunse Lydia, un po' più avanti rispetto a lui, ed indicò con un cenno del capo la scala, i cui gradini venivano illuminati dalla luce. L'atmosfera era davvero rilassante anche se molto fredda, tanto valeva approfittare del poco tempo a disposizione.
    «Sopra l'orologio, in cima alla torre, c'è una grande finestra da cui si vede tutta la città.» accennò affiancandola, ma poi aggiunse con un sorriso a mezza luna che non prometteva bene «Tuttavia la scalinata è vecchia e potrebbe rivelarsi pericolosa. Ma immagino che tu abbia ormai capito che il pericolo è la mia ombra. Che ne dite, mademoiselle? Volete tentare la sorte?»
    E la guardò in un modo che sembrava quasi di sfida.
     
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  10. Stocking
     
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    Stava per rispondere al mugugnare estremamente tenero del ragazzo - l'avrebbe volentieri abbracciato fino a stritolarlo - quando lui le indicò col capo la scala a chiocciola che poco prima lei aveva ammirato.
    «Oh... », mormorò. Quindi da quel punto si vedeva addirittura tutta la città? Non poteva assolutamente perderselo! E se fosse successo, se ne sarebbe pentita a vita. Non aveva forse deciso che la sua vita non sarebbe mai più stato un continuo, monotono, lacerante nastro che si ripeteva?
    Quindi...
    «Me lo domandi?», rispose lei, ricambiando lo sguardo del moro, piegando il capo in avanti e aprendo più gli occhi. Un raggio illuminava la guancia tatuata, facendolo luccicare appena - quasi fosse stato bagnato. «Speravo solo che me lo chiedesse, Mister». E sorrise, alzando gli angoli delle labbra carnose, decisamente divertita.
    Le possibilità che finisse male - quella nuova, piccola e pericolosa avventura - erano tante così come erano tante le possibilità che non salisse mai più in quel posto, talmente bello da mandarle il cervello in pappa.
    Ridendo sottovoce, portò le braccia dietro la schiena, scivolando indietro di qualche passo. Non vedeva l'ora, voleva salire al più presto!
    «Ma si congela... », sussurrò dopo, con un tono parecchio basso. Il gelo le irrigidiva le dita, le gambe, insomma tutto il corpo.
    E quel pugnale cominciava ad essere davvero troppo freddo... si strinse nelle spalle, rabbrividendo profondamente.
    "Non ce la faccio più, basta", pensava seccata; dunque, si piegò leggermente in avanti e - senza fare cerimonie - sollevò per una gamba il giaccone insieme alla gonna fino a quando non vide spuntare il manico del pugnale - e lo sfilò da lì, lasciando ricadere gonna e giaccone sulla gamba bianca coperta fino a sopra il ginocchio da delle parigine.
    «Potresti tenerlo? Non ho dove lasciarlo... », disse dopo, raddrizzandosi, con tutta la tranquillità possibile.
     
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    Non che si aspettasse una risposta diversa. La sua era decisamente una domanda retorica; benché conoscesse ancora poco Lydia - e sapesse ancora meno di ciò che era stata prima del loro incontro - aveva imparato abbastanza da capire che era una persona intrepida, sprezzante del pericolo e... abile nel cacciarsi nei guai. Un po' come lui, insomma. Solo che lui lo faceva per lavoro, non perché gli piaceva davvero: combattere era una delle poche cose in cui era bravo - o meglio arrangiarsi per sopravvivere era qualcosa in cui era bravo.
    E di certo non gli era sfuggito il modo in cui si muoveva Lydia: era agile, fin troppo agile per una ragazza cresciuta indossando corsetti e che non ha mai preso in mano un'arma; aveva una mezza idea che in passato fosse stata una contrabbandiera o qualcosa del genere, ma sarebbe stato estremamente maleducato da parte sua chiederglielo. Le leggi etiche del loro tempo avrebbero targato ogni tentativo di indagine come insulto alla virtù della giovane donna, ergo... avrebbe aspettato e basta, magari un giorno la verità sarebbe venuta a galla.
    «Prima o poi imparerai a vestirti in maniera più pesante.» considerò con un mezzo sorriso, mettendo una mano su un fianco; curiosamente, ogni volta che si ritrovava in missione e in compagnia di Lydia finiva sempre per esserci un freddo gelido. Anche il ragazzo aveva freddo, molto a dir la verità: la sua provenienza da un posto caldo, in cui aveva passato praticamente il 90% della sua vita, era un'arma a doppio taglio in quelle situazioni. E a proposito di armi...
    «Um... certo.» logico, quale nobildonna londinese non andava in giro con un coltello nascosto nel reggicalze? Avrebbe dovuto pensarci prima. Aveva alzato gli occhi al cielo durante i pochi secondi in cui Lydia aveva recuperato l'oggetto, dopotutto di gambe ne conosceva fin troppe e non voleva mancarle di rispetto - Vincent era comunque consapevole che a lei non sarebbe importato più di tanto. Lydia era una persona strana, veramente strana.
    «Un giorno potrei svegliarmi in casa mia e trovarmi un coltello puntato alla gola. Incoraggiante. Vedrò di non farti arrabbiare.» sospirò scrollando le spalle, quindi si avviò finalmente alle scala.
    Come al solito sarebbe andato lui per primo, poiché "il pericolo era il suo mestiere"! Mise un piede sul primo gradino, reggendosi al corrimano che sembrava la cosa meno intaccata dal tempo dell'intera torre: nessuno doveva essere salito lì sopra dall'ultima manutenzione dell'orologio, la polvere era ovunque e pesante, il legno dei gradini scricchiolava in maniera lugubre, ricordando un racconto dell'orrore. Vincent ne salì cinque cautamente, quindi si voltò e sorrise a Lydia, facendole cenno di seguirlo.
     
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  12. Stocking
     
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    Rise. Per l'ennesima volta, rise - cominciava a farle male la mandibola. Ma non poteva farci proprio nulla, Vincent era così terribilmente divertente, seppur la comicità del ragazzo spesso e volentieri consisteva in commenti sarcastici. Forse era attratta dal sarcasmo, il ché sarebbe stato un po' strano.
    «Ecco, bravo, ottima idea. Anche se dubito che te lo punterò mai alla gola», rifletté quasi, ridacchiando. Ed era vero. Primo: non aveva ragione per fare una cosa simile - almeno, fino a quel momento. Secondo: sarebbe stato un vero peccato sgozzare un così affascinante giovane.
    "Comunque, non pensò che succederà mai qualcosa che mi spinga a doverlo... no, è fuori discussione", scossé la testa cercando di cancellare quei pensieri irrequieti. Magari era solo il freddo e l'aria di pericolo che la faceva tornare la furba ladra di un tempo.
    Chissà se sarebbe mai tornata a quel lavoro... non era da escludere. Pagava bene e lei voleva rendersi utile, per Vincent. Non aveva mai pensato di voler essere utile per qualcuno, difatti si sentiva un po' frastornata.
    Aveva lo sguardo basso, a 'fissare' il pavimento, il silenzio rotto semplicemente dal rumore dei leggeri passi del cacciatore e dallo scricchiolio; sollevò lo sguardo in tempo per vedere il cenno rivoltole, ad incitarla a salire. Se quel genere di avventure fossero emerse nella sua vita molti anni prima - prima, insomma, che lei cominciasse a detestarla - avrebbe fatto dietro front.
    Ed era la cosa più 'sensata' da fare, giusto? Eppure, specchiandosi negli occhi dorati che la esortavano, sapeva perfettamente che anche a quei tempi sarebbe salita - conscia.
    Inspirò profondamente gonfiando il petto, e fece un passo in avanti; lentamente, tenendo gli occhi fissi su quei precari gradini, raggiunse al quarto gradino il ragazzo, rialzando lo sguardo per guardarlo e poi annuire.
    «Va bene. Su questi gradini... mi pare quasi di pesare una tonnellata», disse, facendo una smorfia. Si portò, con due dita bianche, una lunga ciocca argentea dietro l'orecchio destro, per poi fare un passo in avanti giungendo al quinto scalino, quello dove vi era il Vincent.
    Doveva ammettere che il ragazzo era davvero portato per quel genere di... missioni, in pratica. Era elettrizzata all'idea che dovesse far piano per non cadere e rompersi qualcosa o per non farsi trovare - che prendesse la situazione come un gioco? - da qualsiasi cosa ci fosse là fuori!
    Invece, probabilmente, Vincent non era poi tanto elettrizzato. Lui ci conviveva con quelle situazioni, prima o poi ne avrebbe avuta la nausea - ma non poteva darlo per certo, non lo conosceva così bene.
    «Non sembrano tanto male».
    Sorrise, voltata verso di lui - rendendosi conto forse solo in quel momento dell'evidente differenza d'altezza. Alzò un po' più il viso, sorpresa.
     
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  13.  
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    «Se tu pesi una tonnellata, io ne peso due. Pensa positivo: se possono reggere tre tonnellate non si romperanno ma-...!»
    *CRACK*
    Al sesto passo, la tegola si ruppe brutalmente sotto il piede destro di Vincent, infrangendosi al suolo in pochi istanti; il ragazzo rimase con un piede in aria e l'altro sul gradino precedente, ed espresse tutto il suo disappunto con una risata ironica «Molto divertente, davvero!»
    Eh già, la fortuna non era mai dalla sua, quelle sarebbero rimaste le sue ultime parole famose all'interno della torre dell'orologio. Per fortuna erano ancora a neanche due metri da terra, se fossero caduti la caduta non li avrebbe massacrati più del dovuto. In effetti però doveva ricordarsi anche del coltello della ragazza che aveva infilato tra la cintura e i pantaloni, ci mancava solo che finisse per auto-trafiggersi, sarebbe stato così imbarazzante - oltre che doloroso...
    Si stabilizzò sul quinto gradino, accanto a Lydia, e tirò un lungo sospiro di disapprovazione: era meglio non rimanere troppo a lungo insieme sulla stessa tegola e gravare con le loro tre tonnellate su quel povero vecchio legno marcio.
    «Non credere avere la meglio sul grande e potente Me, scala insulsa!» stava davvero litigando con una scala? Oh, non c'era limite a quanto quel giovane potesse rivelarsi eccentrico. Allungò la gamba per testare l'affidabilità del gradino successivo e lo trovò più stabile del precedente, così provò a salire, poi ne raggiunse un altro, un altro e un altro ancora, fin quando non si trovò sul primo pianerottolo, dal quale si dipanava un'altra rampa in direzione opposta. Si fermò a far cenno alla ragazza di seguirlo, e solo allora, nella debole luce notturna, si poté soffermare forse per la prima volta con vero interesse e vera attenzione su un particolare di Lydia: quei capelli normalmente albini, che nel momento in cui venivano accarezzati dai raggi lunari assumevano una colorazione argentea e mai vista prima, tanto da suscitare la curiosità del ragazzo.
    Di certo anche lui aveva un aspetto più mistico in quell'atmosfera, ma Lydia era molto più che mistica, molto più che particolare, non sembrava neanche umana: quale umano, in effetti, se ne andava in giro in quel modo, togliendosi i tacchi come se niente fosse, con tatuaggi in posti così originali, capelli di una colorazione fuori dal mondo - neanche gli occhi erano poi tanto normali, ma Vincent per primo sapeva che il giallo era un colore di iride presente in natura, solo abbastanza raro? In generale, Lydia era una persona fuori dal comune. Troppo fuori dal comune.
    «Hey, Lydia...» attirò la sua attenzione a voce bassa, infilò una mano in tasca e per la prima volta la osservò in maniera strana, come uno spettatore osserva un fiore mai visto prima o un paesaggio lunare: aveva l'espressione dello scienziato, ma al contempo poteva risultare anche inquietante ed esageratamente serio. Dopo qualche attimo di silenzio, concluse la domanda «Di' un po'... ma tu sei davvero un essere umano?»
     
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  14. Stocking
     
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    Dannazione, si era presa un infarto! Il respiro trattennuto dentro ai polmoni fino a colorare un po' le guance di rosso, osservava il cacciatore mentre saliva attentamente ogni scalino fin quando la scala non finì. Si sentì più tranquilla qundo lui prese a litigare con la scala, dove fece una risata - in tutta onestà persino leggermente isterica. Sentiva la tensione scavarle dentro, nello stomaco; arrampicarsi sulle costole, grattare i polmoni, giungere sfinita al cuore da tempo resosi più freddo. Se si era scaldato un po', era di recente.
    Voleva chiedergli come stesse, se andava tutto bene lì sul pianerottolo, ma era intenta - ora - a guardare il bucco creatosi dalla tegola caduta e spaccatasi in mille pezzi.
    Ma poi.
    Lui le fece quella domanda, così strana, così inusuale, accompagnata da uno sguardo - che aveva sbirciato senza alzare la testa - altrettanto... interessante. Per Lydia, Vincent Black era un interessante puzzle. Un interessante puzzle che qualcuno aveva cominciato - una volta, tempo fa magari - e poi abbandonato, perché era troppo complicato, troppo Vincent Black.
    Ma lei ne era totalmente, irremediabilmente e follemente presa. Insomma, lei... trovava quegli occhi, quei quarzi citrini... due gemme sole. Lasciate in solitudine. E quindi, lei si domandava: cosa avevano davvero visto?
    E ancora, continuava a farsi domande, pensava se poteva sfiorare la superficie di quel puzzle.
    Chissà se lui le avrebbe permesso di ricomporlo.
    Sarebbe stato divertente.
    "Conosco questo ragazzo da poco in realtà, ma sento il bisogno incurabile di ricomporlo", pensava, mentre finalmente alzava lo sguardo su di lui e lo guardava - guardava quell'espressione inspiegabile.
    «Io... », la sua figura era illuminata dalla luna e il volto oscurato dall'ombra che si creava. Esitò, perché quella domanda l'aveva colpita, non c'era nient'altro da dire. Stava per rispondere, decisa a comportarsi da persona seria ma... perché avrebbe dovuto farlo?
    L'indice della mano sinistra si sollevò, lento ed elegante, posandosi sulle labbra incurvate in un sorriso, enigmatco, come la sua stessa anima era.
    «Essere umano? Non so che roba sia», disse poi.
    Ferma, sul suo gradino forse stabile, forse per niente.
     
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  15.  
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    Che avesse esagerato uscendosene con quella domanda improvvisa era sicuro; d'accordo, non si conoscevano da molto tempo e Lydia non era certamente la persona più normale del pianeta, ma quella domanda così diretta non metteva solo in dubbio l'umanità della ragazza - cosa di per sé già abbastanza grave - quanto la sua identità. E Vincent, Victor se vogliamo, sapeva bene che cosa si provasse a non avere un'identità riconosciuta, a perdere di vista chi si è. Ma i suoi pensieri stavano divagando: voleva sapere chi e cosa Lydia fosse, perché non poteva permettersi di ospitare un potenziale nemico in casa, di qualsiasi razza fosse.
    Il non era che non si fidava di Lydia, ma che non si fidava di nessuno. A volte nemmeno di se stesso.
    Comprese tuttavia che quello era un discorso troppo pesante, che probabilmente Lydia non avrebbe compreso neanche se glielo avesse spiegato - non che dubitasse dell'intelligenza di lei, era solo che quei ragionamenti erano troppo intricati e non riusciva a spiegarli, avrebbe solo creato confusione. E di restare solo di nuovo non aveva proprio voglia, poi.
    Perciò avrebbe messo da parte quell'argomento, che a dirla tutta intimoriva un po' anche lui. L'espressione seria e controllata di poco prima si trasformò in un sogghigno cattivo, che gli adornava il volto come una mezzaluna.
    Dopo una breve pausa, sibilò come una serpe «... Ci hai creduto davvero?»
    Oh, gran bugiardo! Eri serio, eri più che serio! Ma scappare dalle situazioni scomode o accantonarle a prendere polvere era la sua specialità, una delle cose che gli riuscivano meglio; fuggì gli occhi di lei - pur facendo attenzione a eventuali suoi spostamenti - e mosse qualche passo all'indietro, incurante del pericolo, fin quando le spalle non toccarono il poggiamano di legno, a quel punto sollevò le braccia per appoggiarvisi coi gomiti e, ancora con quella faccia da volpe che chiamava schiaffi da tutte le angolazioni, inclinò la testa verso destra.
    Infine alzò le iridi dalla figura della giovane ragazza, verso le scale ancora sopra di loro: c'erano altre quattro rampe da percorrere «Non che faccia una gran differenza.» e riabbassò lo sguardo, stavolta cercando quello di lei con l'intenzione di fissarla intensamente, mentre abbassava la voce per mormorare il seguito di quella frase, come se fosse un grande segreto o una realtà troppo maligna per essere ascoltata liberamente, e nel farlo si accompagnò con un sorriso strano, molto più strano di quello di prima: arcuato solo da un lato, sottile e stretto, quasi malato «Dopotutto... non c'è bisogno di non essere umani per essere veri mostri. Non che questo sia il tuo caso, è solo una mia opinione.»

    Edited by Yukari - 16/4/2014, 13:06
     
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